Maria, era solo fame d’amore

Tre punti, perché voleva farla finita. Tre linee, da seguire nell’oscurità. Tre punti, da cui ricominciare. Nessun codice Morse avrebbe potuto intercettare il grido di aiuto di Maria, se quell’SOS non fosse stato vergato su carta, colori e ombre, da mani docili e coraggiose. Il cuore chiuso in gabbia, la chiave custodita sopra la lingua, la bocca serrata e rigata dalle lacrime. Le emozioni entrano ma non escono, il cibo è un nemico, il corpo si consuma. E’ una malattia viscida e infingarda, che lega le mani e tarpa le ali, spegne la gioia. Si chiama anoressia e a volte ti porta via. Ma non Maria, nome di fantasia, che ha liberato se stessa ed è tornata a vivere.

Non Maria, che nasce in un paese nella campagna di Bologna, cullata tra i campi, dove germogliano passioni e un’intelligenza limpida fiorisce nel silenzio di casa. La mamma, il papà, un fratello, tanti, tantissimi libri, fedeli compagni di viaggio, amici che non deludono mai.

E’ minuta Maria, un piccolo scrigno prezioso pieno di perle: attenti a non calpestarle; potreste farle male…

Perché sotto quei capelli arruffati, quell’aria da bambina più piccola della sua età, si nasconde un cuore di cristallo, che non va sporcato.

Non deve essere sporcato. Da niente e da nessuno. Non deve. E’ chiaro?

Le parole hanno un peso, un sapore, un colore. Quelle brutte, le parolacce, non si abbinano a un’anima trasparente. E non vanno dette. Mai.

Senti! Senti gli altri compagni come si esprimono, e sono solo alle scuole medie! Bene, bravi!

No, con loro Maria non parla. Lei preferisce giocare in giardino, leggere e disegnare. Nelle mani ha un talento unico, un megafono per le parole impronunciabili, un tratto che distingue ciò che le fa bene da ciò che la ferisce…

“Sei brutta!”.

….

“Sì, dico a te! Sei brutta! Fai schifo!”.

Maria incassa. Per fortuna ci sono le sue amiche, quelle con cui ha legato in prima media. Dopo le vacanze estive chissà quante cose avranno da raccontarle…

“Ciao!”.

….

“Ragazze? Sono Maria! Cosa succede!”.

“Niente. Scusa, abbiamo da fare”.

Lo senti questo rumore? E’ il suono del cristallo quando si crepa… ed è molto pericoloso… è molto fragile…

“Ahah, eccola lì… oh, aspetta… ehi, Maria! Sì, dico a te, Maria! Mamma mia, ti sei vista? Copriti la faccia! Ahahah…”.

A coprirsi è però il cuore. Un cielo nero si staglia all’orizzonte, quelle nuvole non lasciano presagire niente di buono…

La professoressa di italiano non fa sconti.

“Gli unici voti buoni sono quelli dall’8 in su”.

Troppa pressione, troppo peso, troppe voci.

Quella che rimbalza nella mente è la più severa, la più rigida.

“Maria devi studiare. Capito?”.

“Sì, ma sono stanca”.

“Non mi interessa”.

“Ma il corso di danza?”.

“Non mi interessa”.

Serve uno sfogo, serve al più presto. Forza!

“Mamma, i miei compagni di classe mi prendono in giro!”.

“Lasciali parlare. Non ti curare di loro”.

L’amore della famiglia, però, è uno scudo troppo fragile. Il mondo reale, quello dei compagni di classe, sa essere molto più cinico, a volte persino crudele.

“Maria, vuoi cambiare scuola?”.

“No! Questo no!”.

Se solo sapeste quale bellezza si nasconde dietro quegli occhiali, dentro a quel busto ortopedico…

Lo so, voi non lo sapete. Il problema è che non lo sa nemmeno Maria, che lentamente, inesorabilmente, inizia a scivolare in fondo, sempre più in fondo…

Anche perché alla mattina va a scuola, al pomeriggio cerca di dormire e alla notte studia. Tanto, troppo, sempre di più.

La depressione la sorprende negli intervalli tra un pianto e l’altro: erano anni che la aspettava, ora è il suo momento.

“Signora, non si preoccupi, gli adolescenti sono sempre un po’ cupi”.

La professoressa che ha convocato la madre di Maria ha parole rassicuranti. Purtroppo non ha capito la portata del problema. Ormai è solo questione di tempo…

I castelli di carta, costruiti tra le pagine dei libri, cominciano a traballare, mentre la tempesta si avvicina. Lacrime di pioggia appiccicano i sogni, che si sciolgono mischiati all’inchiostro.

Nella vita reale non ci sono draghi volanti, i cacciatori non rincorrono gli aquiloni e le uniche memorie che interessano ai professori non sono quelle di una geisha, ma quelle di una studentessa che davvero non ne può più. Se solo riuscisse a dirlo, se solo facesse uscire quelle emozioni…

La rabbia si gonfia, si allarga nello stomaco, sale fino alla gola e arriva agli occhi.

“Non lo vedi come sono grassa?”.

“No Maria, sei sempre molto magra”.

“Non è vero! Come fai a non vederlo?”.

La dispercezione visiva è subdola, si è alleata con la depressione ed entrambe sanno dove vogliono portare Maria…

… magari in Francia, a Le Mans, in un viaggio di scambio di una classe terza superiore del liceo scientifico Copernico.

In valigia si insinuano anche i mostri che da qualche tempo tormentano Maria.

“Non sei perfetta…”.

“Se ti arrabbi con i tuoi compagni, sei una cattiva persona…”.

“Sei solo un pesce di ferro, nessuno ti vede e sei destinato ad affondare nel mare…”.

“Noi siamo i tuoi lati oscuri e non ti libererai mai di noi…”.

I sensi di colpa diventano incontrollabili. Maria cerca di assottigliarli marciando per chilometri e chilometri ogni giorno; senza più cibo, sono destinati a morire. Ma con loro anche tu, Maria…

“Meglio. Non mi interessa”.

“Maria, vuoi ancora un altro po’ di olio?”.

“No grazie”, il sorriso è tirato, la mascella quasi serrata.

“Ancora un po’ di formaggio? Ho fatto una buonissima torta col burro!”.

“Va bene… se proprio insiste…”.

Il boccone della vergogna è il più amaro. Servono lacrime di fiele per ammorbidirlo nel buio della notte.

“Ma domattina niente colazione. E regalerò il pranzo ai miei compagni”.

Il proposito è fermo. Nessuno se ne accorgerà. Solo la bilancia, che reclina la “testa” da un lato in segno di resa.

Neanche l’amore della famiglia può fare qualcosa.

“Basta!!! Vi ho detto che ho già mangiato!”.

“Ma è solo un po’ di verdura!”.

“Va benissimo così!!!”.

“Maria… stai scomparendo…”.

Meglio. E’ proprio quello che vuole. Dissolversi nel silenzio, lei è solo uno stupido e insignificante oggetto su questa Terra…

Ormai non studia nemmeno più; serve una buona scusa per evitare di passare i compiti ai compagni che la sfruttano solo per quello.

“Peccato Maria, la tua media sta scendendo”, affondano i professori.

Anche il peso. Troppo.

L’insegnante di matematica e fisica finalmente comprende il problema

“Maria, perché non provi a fare due chiacchiere con un professore del Sant’Orsola? Si chiama Emilio Franzoni, ne ho sentito parlare molto bene, forse ti può aiutare…”.

“Va bene…”.

Il Professor Emilio Franzoni

Nel reparto di Neuropsichiatria Infantile, il professore è seduto alla sua scrivania, gli occhi traboccanti umanità, la voce accogliente.

“Ciao Maria. Come stai? Raccontami tutto, ti ascolto…”.

Le parole fluiscono spontanee fino a quando… clic… qualcosa si è aperto… le emozioni iniziano lentamente a uscire… forse c’è luce in fondo al tunnel…

O forse no.

“Non mi sopporto più. Voglio solo distruggermi. E andrò fino in fondo”.

Maria scivola ancora più in basso. L’unica sua soddisfazione è consumarsi. Prima delle visite di controllo in ospedale, beve due litri d’acqua per ingannare i medici e la bilancia.

“Maria, così non va bene”.

“Proverò a cambiare, professore…”.

“Lo spero…”. Le bugie si fiutano da lontano…

Ora basta. Serve il ricovero in Day Hospital, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 17.

“No! Non voglio! A scuola resterò indietro con il programma! I miei voti! La mia media!”.

Già, la media. Una vera ossessione. Il ricovero è coatto.

“Non c’è più niente da fare, non è stata colpa mia”.

Nella sua resa, Maria si sente insolitamente sollevata dopo tanto tempo. Lo stomaco si rilassa e lascia spazio a nuovi incontri.

“Vuoi una bustina di olio?”.

“Ehm… va bene… grazie…”.

Le psicologhe che assistono ai pasti trasmettono calore, così la colazione, la merenda, il pranzo e la merenda pomeridiana diventano piacevoli momenti conviviali, non sfide all’ultimo sangue con il cibo. Poi c’è spazio per i laboratori di scrittura creativa, quelli di arte terapia, lo yoga e naturalmente le lezioni. Gli insegnanti arrivano in reparto e capiscono in fretta quanto la mente di Maria sia brillante.

Lei adora il venerdì. Si commentano criticamente le notizie riportate dai giornali, anche se parlare in mezzo alle altre persone crea ancora qualche fastidio.

Sei mesi di ricovero sono una palestra di vita e una ricerca interiore. Maria comprende di avere bloccato lo sviluppo del suo corpo per il terrore di crescere; all’esterno non poteva trovare il nido caldo in cui era cresciuta. In Day Hospital si sente protetta, perché ha la percezione di avere il controllo di tutto, anche di quello che mangia, pur con la minaccia dell’uso del sondino.

La porta di uscita del Sant’Orsola si apre ad agosto. Manca un mese all’inizio della quinta superiore e dopo avere trascorso la quarta in ospedale, Maria non vede l’ora di rientrare a scuola.

“… Sempre che tu ce la faccia… perché sei inadeguata… lo sei sempre stata…”.

La malattia è subdola e impietosa…

Ancora chilometri a bruciare le calorie e le speranze di un ritorno alla vita di prima, il peso precipita di nuovo e un nuovo nemico si presenta alla porta: gli attacchi di panico.

La gola si stringe, il cuore impazzisce, “basta, voglio morire”.

Il ricovero è ancora obbligatorio.

“Non voglio! Sono maggiorenne!”.

Ma le porte della clinica si aprono e si chiudono. Per undici, lunghi mesi. Maria ne uscirà matura, con una valutazione di 97 su 100, e dire che, se non fosse stato per l’insegnante di matematica e fisica del Copernico, non avrebbe nemmeno sostenuto l’esame!

La vita va avanti. Deve andare avanti. La scuola è finita, inizia il percorso universitario, ma la malattia resta appiccicata alla mente e… ai polmoni!

Uno pneumotorace richiede un nuovo ricovero ospedaliero… serve un intervento… dopo l’anestesia il cuore di Maria rallenta… sempre di più… sempre più piano…

Dorme per tre giorni.

Al risveglio non riesce a muovere le gambe. Vorrebbe piangere, se solo avesse la forza di farlo.

Per la prima volta, ha veramente paura di morire…

Chiude gli occhi e, nel buio, vede i compagni dell’Università, nuovi amici che non la giudicano e la emarginano, le vogliono bene. I ricordi felici in famiglia danno una spinta verso il sole.

Ad attenderla c’è di nuovo il professor Franzoni, nel ventre della Fanep.

“Ora sono a casa…”.

No, è l’ospedale. Nel terzo ricovero Maria raggiunge il peso più basso di sempre. Prima di dormire si rivolge alla dottoressa Malaspina con un filo di voce… “Spero di svegliarmi, domattina”.

Il medico ricambia con un sorriso e le stringe la mano: “Certamente, non avere paura”.

Questa volta la strada è giusta. I mostri perdono vigore, gli uccelli e i pesci di ferro lasciano il posto a distese verdeggianti che accolgono le imperfezioni; il cuore, custodito in una teca, è avvolto tra le mani in attesa di essere rimesso al centro del petto.

Maria non ha ancora vinto la guerra, ma si è aggiudicata molte battaglie.

“Ora sono felice perché il mio cuore non corre fino a travolgermi e non zoppica nel sonno.

Alla Fanep ho imparato che voglio essere leggera, non come peso, ma nel modo di affrontare la vita, accettando i momenti di gioia come i periodi difficili.

L’equilibrio e la flessibilità non sono sinonimi di superficialità ed è possibile aprirmi agli altri senza farmi invadere, annullando i miei desideri.

Posso fidarmi delle persone, perchè so che, anche se sarò ferita, potrò rialzarmi.

Posso accettare i miei spigoli, i miei difetti, i miei limiti, senza pretendere di avere sempre il controllo.

Posso fare esperienza del mondo, senza essere schiacciata dalle paure.

E posso avere coraggio. Ho deciso di parlare e di raccontare la mia storia perché tante ragazze che hanno vissuto la mia situazione sapessero che possono sconfiggere questa malattia.

Ringrazio chi mi è stato sempre vicino, la mia famiglia, i miei nuovi amici, il professor Franzoni, la Fanep. Ora so che posso farcela”. Perché quella di Maria, in fondo, era solo fame d’amore.

Damiano Montanari

(C) Riproduzione riservata

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